TRADIZIONE INIZIATICA
Massoneria


 

 

René Guénon

 

A proposito del Grande Architetto Dell’Universo

 

 

 

 

Verso la fine del nostro precedente studio1, abbiamo fatto allusione a certi astronomi contemporanei ai quali capita talvolta di andare oltre il dominio loro proprio, per abbandonarsi a delle digressioni impregnate di una filosofia che non è certo ingiusto definire tutta sentimentale, poiché nella sua espressione essa è essenzialmente poetica. Dire sentimentalismo significa sempre dire antropomorfismo, poiché ve ne sono diversi tipi, e quello di cui parliamo si caratterizza per il fatto che all’inizio si è manifestato in reazione alla cosmogonia geocentrica delle religioni rivelate e dogmatiche, per poi sfociare, per un verso, nelle concezioni strettamente sistematiche di quegli studiosi che vogliono limitare l’universo a misura della loro attuale comprensione2, e per l’altro, in credenze che, quanto meno, sono tanto singolari e tanto poco razionali quanto quelle che pretendono di rimpiazzare, proprio in forza del loro carattere tutto sentimentale di credenze3. Su entrambi questi prodotti di una stessa mentalità avremo modo di ritornare in seguito, ma è opportuno constatare che talvolta essi si uniscono, e a questo, proposito è appena il caso di ricordare la famosa «religione positivista» che Augusto Comte istituì verso la fine della sua vita. D’altronde, non si creda che noi siamo minimamente ostili ai positivisti, al contrario, noi abbiamo per loro, quando sono strettamente positivisti4, ed anche quando il loro positivismo resta forzatamente incompleto, ben altra stima che per i filosofi dottrinari moderni, si dichiarino essi monisti o dualisti, spiritualisti o materialisti.

Ma torniamo ai nostri astronomi; fra loro, il più conosciuto dal grande pubblico (ed è solo per questo che lo citiamo al posto di qualche altro, foss’anche di un valore scientifico superiore) è sicuramente Camille Flammarion, il quale, anche in quei suoi lavori che sembrerebbe dovessero essere puramente astronomici, scrive cose come queste:

«... Se i mondi morissero per sempre, se i soli una volta estinti non si riilluminassero più, è probabile che non vi sarebbero più stelle in cielo.

«Perché?

«Perché la creazione è così antica che possiamo considerarla come eterna nel passato5. Dopo l’epoca della loro formazione, gli innumerevoli soli dello spazio hanno avuto tutto il tempo per spegnersi. Relativamente all’eternità passata (sic) vi sono solo dei nuovi soli che brillano. I primi si sono spenti. Dunque, l’idea della successione si impone da sola al nostro spirito6.

«Quale che sia l’intima credenza che ognuno di noi ha acquisito nella sua coscienza in merito alla natura dell’Universo, è impossibile ammettere l’antica teoria di una creazione fatta una volta per tutte7. L’idea di Dio non è, essa stessa, identica all’idea di Creatore? Non appena Dio esiste, egli crea; se egli avesse creato solo una volta non vi sarebbero più soli nell’immensità, né pianeti che attingerebbero da essi la luce, il calore, l’elettricità e la vita8. Occorre, necessariamente, che la creazione sia perpetua9. E se Dio non esistesse, l’antichità, l’eternità dell’Universo si imporrebbe. con forza ancora maggiore»10.

L’autore dichiara che l’esistenza di Dio è «una questione di filosofia pura e non di scienza positiva», il che non gli impedisce di voler dimostrare, in un altro testo11, se non scientificamente, quanto meno con degli argomenti scientifici, questa stessa esistenza di Dio, o piuttosto sarebbe meglio dire di un dio, ed anche di un dio molto poco luminoso12, poiché non è altro che un aspetto del Demiurgo; ed è lo stesso autore che lo dice, quando afferma che «l’idea di Dio è identica a quella di Creatore» e quando egli parla della creazione, è sempre e solo del mondo fisico che si tratta, vale a dire del contenuto dello spazio che l’astronomo ha la possibilità di esplorare con il suo telescopio13 . Del resto, vi sono degli studiosi che si definiscono atei solo perché è loro impossibile farsi, dell’Essere Supremo, una concezione diversa da questa, concezione che ripugna fortemente alla loro ragione (il che, almeno, testimonia in loro favore); ma Flammarion non è fra questi, poiché, al contrario, non perde occasione per fare professione di fede deista. E anche nel libro che abbiamo citato, subito dopo il passo precedente, egli è indotto, sulla base di considerazioni che peraltro sono mutuate da una filosofia tutta atomista, a formulare la seguente conclusione: «La vita è universale ed eterna»14. E pretende di essere giunto a tale conclusione per mezzo della sola scienza positiva (tramite un mucchio di ipotesi!); ma la cosa più strana è che questa stessa conclusione sia stata da tempo affermata ed insegnata dogmaticamente dal Cattolicesimo, come derivante esclusivamente dal dominio della fede15. Se la scienza e la fede dovevano alfine concordare con tanta esattezza, era proprio il caso di rimproverare con tanto acredine alla religione cattolica le poche seccature che dovette subire Galileo ad opera dei suoi rappresentanti, per il fatto di aver insegnato che la Terra ruotava intorno al Sole, esprimendo così un’opinione contraria ad un geocentrismo che allora si voleva fondare sull’interpretazione exoterica (ed erronea) della Bibbia, ma i cui più ardenti difensori (poiché ve ne sono ancora), ai nostri giorni, non si trovano forse più fra i fedeli delle religioni rivelate?16

Constatando così come Flammarion mischi il sentimentalismo alla scienza, col pretesto dello «spiritualismo», non ci sorprende che egli sia giunto rapidamente ad un «animismo» che si differenzia dallo spiritismo ordinario solo per la forma, per salvare le apparenze «scientifiche»; «animismo» pari a quello di un Crookes, o di un Lombroso (negli ultimi anni della sua vita), o di un Richet, tutti esempi dello scacco della scienza sperimentale al cospetto della mentalità costituitasi da tempo in Occidente sotto l’influenza delle religioni antropomorfe. Ma ciò che stupisce ancor di più, se non si sapesse quanto la concezione di un Dio individuale, più ancora che «personale», non sia in grado di soddisfare tutte le mentalità, e perfino neanche tutti i sentimentalismi, è il fatto di ritrovare questa stessa «filosofia scientifica», sulla quale Flammarion fonda il suo neo-spiritualismo, perfino esposta in termini pressoché identici, negli scritti di altri studiosi, i quali se ne servono proprio al contrario: per giustificare una concezione materialista dell’Universo. Beninteso, noi non possiamo approvare gli uni più degli altri, poiché lo spiritualismo ed il «vitalismo» o l’«animismo» degli uni sono del tutto estranei alla pura metafisica, al pari del materialismo e del «meccanicismo» degli altri, e tutti hanno dell’Universo una concezione ugualmente limitata, quantunque presentata in maniera diversa17; tutti scambiano per infinito e per eternità ciò che, in realtà, è solo l’indefinità spaziale e l’indefinità temporale. «La creazione si sviluppa nell’infinito e nell’eternità», scrive infatti Flammarion18, e noi sappiamo in quale senso ristretto egli intende la creazione; ma lasciamolo alle sue affermazioni e veniamo adesso, senz’altro indugio, a quello che è il preciso argomento del presente articolo.

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Ne L’Acacia di marzo, 1911, è apparso un articolo del F\ M.-I. Nergal, su La question du Grand Architecte de l’Univers (La questione del Grande Architetto dell’Universo); questione che era già stata trattata precedentemente (1908), nella stessa rivista, dal compianto F\ Ch.-M. Limousin e dal F\ Oswald Wirth, e di cui abbiamo brevemente parlato più di un anno fa19.

Ora, se abbiamo citato Flammarion come un semplice esempio della tendenza neo-spiritualista di alcuni studiosi contemporanei, possiamo ora segnalare il F\ Nergal come un esempio della tendenza materialista di certi altri. Infatti, egli stesso si dichiara tale con tutta chiarezza, rigettando tutte le altre denominazioni che (come in particolare quella di «monista») potrebbero dar adito a qualche equivoco: e si sa che, in realtà, i veri materialisti sono in numero assai limitato. Inoltre, a costoro riesce difficile mantenere sempre un atteggiamento strettamente logico: mentre credono di essere degli spiriti rigorosamente scientifici20, la loro concezione dell’Universo è solo una filosofia come tutte le altre, nella cui definizione rientrano un gran numero di elementi di ordine sentimentale; e ve ne sono di quelli che si spingono così lontano nel senso della preponderanza accordata (almeno praticamente) al sentimento nei confronti dell’intellettualità, che si arriva a dei casi di vero misticismo materialista. Infatti, non è un concetto eminentemente mistico e religioso quello che, in nome di una morale assoluta (o cosiddetta tale), sia in grado di esercitare sulla mentalità di un materialista un’influenza tale da fargli confessare che, quand’anche non avesse alcun motivo razionale per essere un materialista, continuerebbe ad esserlo unicamente perché è «più bello fare il bene» senza alcuna speranza di ricompensa possibile? E certamente questa è una di quelle «ragioni» che la ragione ignora; ma crediamo proprio che lo stesso F\ Nergal accordi una eccessiva importanza alle considerazioni di ordine morale, per poter negare ogni valore ad un tale argomento21.

Comunque sia, nell’articolo che abbiamo citato, il F\ Nergal definisce l’Universo come «l’insieme dei mondi che gravitano attraverso gli infiniti (sic22; non sembra proprio di leggere Flammarion? Ed è proprio con un’affermazione equivalente a questa che noi abbiamo interrotto le nostre considerazione su quest’ultimo, e lo facciamo notare subito per rendere manifesta la similitudine di certe concezioni proprie a degli uomini che poi, in ragione delle loro tendenze individuali, ne traggono delle dottrine filosofiche diametralmente opposte.

Siamo convinti che la questione del Grande Architetto dell’Universo, peraltro strettamente connessa alle considerazioni che abbiamo svolto fin qui, sia una di quelle sulla quale è opportuno ritornare ogni tanto, e poiché il F\ Nergal si augura che il suo articolo possa suscitare delle risposte, esporremo qui alcune delle riflessioni che esso ci ha suggerite, senza alcuna pretesa dogmatica, beninteso, poiché l’interpretazione del simbolismo massonico non potrebbe ammetterne nessuna23.

Abbiamo già detto che, secondo noi, il Grande Architetto dell’Universo è unicamente un simbolo iniziatico, che deve essere considerato al pari di tutti gli altri simboli e di cui, quindi, bisogna cercare di farsi un’idea razionale24; ciò significa che questa concezione non può avere niente in comune con il Dio delle religioni. antropomorfe, il quale è, non solo irrazionale, ma perfino anti-razionale25. Tuttavia, quando diciamo che «ognuno può attribuire a questo simbolo il significato relativo alla sua personale concezione filosofica» o metafisica, siamo lungi dall’assimilarlo ad un’idea così vaga ed insignificante come quella dell’«Inconoscibile» di Spencer, o, in altri termini, a «ciò che la scienza non riesce a cogliere»; ed è certo che, come dice giustamente il F\ Nergal, «se nessuno contesta che esiste del non conosciuto26, assolutamente niente ci autorizza a pretendere, come fa qualcuno, che questo non conosciuto rappresenti uno spirito, una volontà». Senza dubbio, «il non conosciuto indietreggia», e può arretrare indefinitamente; esso è dunque limitato, il che significa che costituisce solo una frazione dell’Universalità; ne consegue che una tale concezione non potrebbe essere quella del Grande Architetto dell’Universo, la quale, per essere veramente universale, deve implicare tutte le possibilità particolari contenute nell’unità armonica dell’Essere Totale27.

Il F\ Nergal ha ragione anche quando dice che spesso «la formula del Grande Architetto dell’Universo non corrisponde che ad un vuoto assoluto, anche presso coloro che la sostengono», ma è poco verosimile che si possa dire lo stesso per coloro che l’hanno creata, poiché essi potevano solo scrivere sul frontone del loro edificio iniziatico tutt’altro che una parola priva di senso. Per ritrovare il loro pensiero è sufficiente, con tutta evidenza, chiedersi qual è il significato proprio di questo termine, ed è proprio da questo punto di vista che noi riteniamo che esso è tanto più appropriato all’uso che ne è stato fatto, per quanto corrisponde ammirabilmente all’insieme del simbolismo massonico, che esso domina ed illumina interamente, al pari della concezione ideale che presiede alla costruzione del Tempio Universale.

In effetti, il Grande Architetto non è il Demiurgo, egli è qualcosa di più, e perfino di infinitamente di più, poiché rappresenta una concezione molto più elevata: egli traccia il piano ideale28 che è realizzato in atto, e cioè manifestato nel suo sviluppo indefinito (ma non infinito), dagli esseri individuali che sono contenuti (come possibilità particolari, elementi ed agenti di questa manifestazione) nel suo Essere Universale; ed è la collettività di questi esseri individuali, considerata nel suo insieme, che in realtà costituisce il Demiurgo, l’artigiano o l’operaio dell’Universo29. Questa concezione del Demiurgo, che è quella che abbiamo esposto in precedenza in un altro studio, corrisponde, nella Kabbala, a l’Adam Protoplastes (primo formatore)30, mentre invece il Grande Architetto è identico all’Adam Qadmon, e cioè all’Uomo Universale31.

Questo è sufficiente per far comprendere la profonda differenza che esiste fra il Grande Architetto della Massoneria e gli dei delle diverse religioni, i quali sono solo degli aspetti diversi del Demiurgo. D’altronde, il F\ Nergal sbaglia quando assimila il Dio antropomorfo dei Cristiani exoterici a Jehovah, e cioè a הוה׳, Ierogramma dello stesso Grande Architetto dell’Universo (la cui idea, malgrado questa designazione nominale, è ancora più indefinita di quanto l’autore possa minimamente supporre), e ad Allâh, altro Tetragramma la cui composizione geroglifica designa molto chiaramente il Principio della Costruzione Universale32; tali simboli non sono affatto delle personificazioni, tanto più che è proibito rappresentarli con delle figure di qualunque tipo.

D’altra parte, dopo quanto abbiamo detto, si capisce che non si è fatto altro che rimpiazzare l’antica formula «Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’Universo» (o «Alla Gloria Del Sublime Architetto Dei Mondi», del Rito Egiziano) con altre ad essa equivalenti: infatti nella formula sostitutiva «Alla Gloria Dell’Umanità», quest’ultima dev’essere intesa nella sua totalità, che costituisce l’Uomo Universale33; o anche nell’altra: «Alla Gloria Della Massoneria Universale», quest’ultima si identifica all’Umanità integrale considerata nel compimento (ideale) della grande Opera costruttiva34.

Potremmo dilungarci ulteriormente su questo argomento, che naturalmente è suscettibile di indefiniti sviluppi, ma per concludere praticamente, diremo che l’ateismo in Massoneria non è, e non può essere altro, che una maschera, la quale nei paesi latini, e particolarmente in Francia, ha avuto indubbiamente la sua utilità, e si potrebbe quasi dire la sua necessità; e questo per dei motivi diversi che non dobbiamo certo esaminare in questa sede; ma oggigiorno tale ateismo è divenuto piuttosto pericoloso e compromettente per il prestigio e l’influenza esteriore dell’Ordine. Tuttavia, ciò non significa che, per questo, si debba imitare la tendenza pietista che domina ancora la Massoneria anglosassone e chiedere l’istituzione di una professione di fede deista implicante la credenza in un Dio personale e più o meno antropomorfo. Lungi da noi un simile pensiero; anzi, se una simile dichiarazione dovesse mai essere richiesta in una qualunque Fraternità iniziatica, saremmo, sicuramente i primi a rifiutarci di sottoscriverla. Ma la formula simbolica di riconoscimento del G\A\D\U\ non comporta nulla di simile; essa è sufficiente, e lascia ad ognuno la piena libertà delle sue convinzioni personali (carattere che peraltro ha in comune con la formula islamica del Monoteismo)35 , e dal punto di vista strettamente massonico non si può ragionevolmente esigere niente di più o di diverso di questa semplice affermazione dell’Essere Universale, che corona così armoniosamente l’imponente edificio del simbolismo rituale dell’Ordine.

 

 À propos du Grand Architecte de l’Univers, pubblicato ne La Gnose, n° di luglio-agosto 1911, e firmato «Palingenius».

 

 

1. Si veda Le Symbolisme de la Croix, in La Gnose, 2º anno, n° 6, p. 166. Ecco il passo in questione: «Se ci è impossibile ammettere lo stretto punto di vista geocentrico, non per questo approviamo quella sorta di lirismo scientifico, o sedicente tale, che sembra essere particolarmente caro a certi astronomi, ed in cui si parla in continuazione di «spazio infinito» e di «tempo eterno», che sono delle pure assurdità; anche in questo caso si tratta, come vedremo più avanti, di un altro aspetto della tendenza all’antropomorfismo».

2. «L’uomo è la misura di tutte le cose», ha detto un filosofo greco; ma è evidente che questo dev’essere inteso in relazione all’Uomo Universale e non all’uomo individuale contingente.

3. A titolo d’esempio, e per limitarci alle concezioni direttamente suggerite dall’astronomia, citiamo la strana teoria della migrazione dell’essere individuale attraverso i diversi sistemi planetari; si tratta di un errore del tutto analogo a quello della reincarnazione (si veda La Gnose, 2º anno, n° 3, p. 94, nota 1: «Una limitazione della Possibilità universale è, nel senso proprio del termine, una impossibilità; vedremo peraltro che questo esclude la teoria reincarnazionista, al pari dell’«eterno ritorno» di Nietzsche, nonché la ripetizione simultanea, nello spazio, di individui supposti identici, come immagina Blanqui».). Per l’esposizione di questa concezione, oltre alle opere di Flammarion, si veda Figuier, Le Lendemain de la Mort ou la Vie future selon la Science.

4. Ma, beninteso, il positivista, se vuol rimanere coerente con se stesso, non può mai assumere un atteggiamento di negazione o un’attitudine sistematica, in qualsivoglia maniera, poiché dire negazione significa dire limitazione, e viceversa.

5. È una concezione singolare questa di una cosiddetta eternità temporale, che si compone di durate successive e che sembra dividersi in due metà, una passata ed una futura; in realtà, si tratta delle indefinità della durata, alla quale corrisponde l’immortalità umana. Avremo occasione di ritornare su questa idea di una pseudo-etemità divisibile e sulle conseguenze che hanno preteso di trarne alcuni filosofi contemporanei.

6. È quasi superfluo richiamare l’attenzione sulla quantità di pure ipotesi che sono accumulate in queste poche righe.

7. Ci si chiede in nome di quale principio viene proclamata questa impossibilità, dal momento che si tratta di una credenza (testualmente), vale a dire di qualcosa che deriva solo dalla coscienza individuale.

8. Da questa frase risulta chiaramente che, secondo l’autore, Dio ha un inizio ed è sottomesso al tempo, come peraltro allo spazio.

9. Ma perpetuo, termine che indica solo la durata indefinita, non è per niente sinonimo di eterno; ed una antichità, per quanto grande possa essere, non ha alcun rapporto con l’eternità.

10. Astronomie populaire, pp.380-38l.

11. Dieu dans la Nature, o «lo Spiritualismo e il Materialismo davanti alla Scienza moderna».

12. Si sa che il termine Dio deriva dal sanscrito Deva, che significa «luminoso»; d’altronde, è chiaro che qui si tratta della Luce spirituale e non della luce fisica che ne è solo un simbolo.

13. In effetti, la scienza moderna, almeno in linea di principio, ammette solo ciò che è suscettibile di porsi sotto il controllo di uno o più dei cinque sensi corporali; dal suo punto di vista strettamente specializzato, tutto il resto dell’Universo è puramente e semplicemente considerato come inesistente.

14. Astronomie populaire, p.387.

15. Avremo modo di ritornare su questa questione della «vita eterna», ma per intanto possiamo far notare che questa pretesa eternizzazione di un’esistenza individuale contingente non è altro che la conseguenza della confusione fra eternità ed immortalità. D’altronde, questa illusione è più facilmente scusabile, entro certi limiti, di quelle degli spiritisti e di altri psichisti che credono di poter dimostrare l’immortalità «scientificamente», vale a dire in maniera sperimentale, quando invece, evidentemente, l’esperienza potrebbe solo dimostrare nient’altro che una sopravvivenza di alcuni degli elementi dell’individualità dopo la morte dell’elemento corporale fisico; è opportuno aggiungere che, dal punto di vista della scienza positiva, perfino questa semplice sopravvivenza di elementi materiali è ancora ben lontana dall’essere saldamente stabilita, malgrado le pretese di diverse scuole neo-spiritualiste.

16. Alludiamo, in modo particolare, a certi gruppi di occultisti le cui teorie sono peraltro molto poco serie perché si possa loro concedere il minimo interesse; questa semplice indicazione è certo sufficiente per mettere in guardia i nostri lettori nei confronti di elucubrazioni di questo genere.

17. Vi sarebbero da fare delle curiose considerazioni circa le differenti limitazioni dell’Universo concepite dagli studiosi e dai filosofi moderni; e forse un giorno tratteremo tale questione.

18. Astronomie populaire, p.21l.

19. Si veda L’Ortodossia Massonica, in La Gnose, aprile 1910, n° 6, pp. 105-107.

20. Se lo fossero realmente, si limiterebbero ad essere unicamente positivisti, senza preoccuparsi né del materialismo né dello spiritualismo, dal momento che le affermazioni (ed anche le negazioni) dell’uno e dell’altro oltrepassano la portata dell’esperienza sensibile.

21. Nello stesso articolo di cui si tratta, il F\ Nergal parla de «l’ideale della bellezza e del sentimento che costituiscono il quadro in cui si muovono le sincerità dalle forti e profonde convinzioni fondate sui metodi e sulle discipline scientifiche», sincerità che egli oppone a quella «dello spiritualismo del F\ G..., frutto naturale della sua educazione letteraria».

22. Si potrebbe credere che in questo caso si tratti di una universalizzazione eccessiva della legge di gravitazione, se non si facesse caso al fatto che, per l’autore, come per Flammarion, si tratta sempre dell’Universo fisico derivante dal dominio dell’astronomia, il quale non è altro che uno degli elementi della manifestazione universale, che non è per niente infinito e che ancor meno costituisce una pluralità di infiniti, la cui coesistenza per altro è una pura e semplice impossibilità (si veda l’articolo Il Demiurgo, in La Gnose, anno l°, n° 1, p. 8) (Pubblicato in italiano dalla Rivista di Studi Tradizionali, Torino, n° 33, luglio-dicembre 1970 ‑ n.d.t. ‑).

23. Si veda l’articolo L’Ortodossia Massonica (alla citazione del Rituel interprétatif pour le Grade d’Apprenti), in La Gnose, aprile 1910, n° 6.

24. Si veda l’articolo L’Ortodossia Massonica.

25. Ciò che diciamo qui dell’antropomorfismo può applicarsi ugualmente al sentimentalismo in generale ed al misticismo sotto tutte le sue forme.

26. Il quale, beninteso, è tale in rapporto alle individualità umane considerate nel loro stato attuale; ma «non conosciuto» non significa necessariamente «inconoscibile»: niente è inconoscibile allorché si considerano tutte le cose dal punto di vista dell’Universalità.

27. Non bisogna dimenticare che, come abbiamo già fatto notare a più riprese, la possibilità materiale è solo una di queste possibilità particolari, e che ne esistono altre in numero indefinito. E ciascuna di esse è ugualmente suscettibile di sviluppo indefinito nella sua manifestazione, vale a dire nel passare dalla potenza all’atto (si veda in particolare Le Symbolisme de la Croix, in La Gnose, anno 2º, nn. dal 2 al 6).

28. «L’Architetto è colui che concepisce l’edificio, colui che ne dirige la costruzione», dice lo stesso F\ Nergal, ed anche qui siamo perfettamente d’accordo con lui; ma, se in questo modo si può dire che egli è veramente «l’autore dell’opera», ciò non significa che ne è materialmente (o formalmente, in maniera più generale) «il creatore», poiché l’architetto che traccia il piano non dev’essere confuso con l’operaio che lo esegue; si tratta della stessa differenza che, da un altro punto di vista, esiste fra la Massoneria speculativa e la Massoneria operativa.

29. Si veda l’articolo Il Demiurgo, in La Gnose, anno 1°, nn. dall’1 al 4 (Pubblicato in italiano dalla Rivista di Studi Tradizionali, Torino, nº 33, luglio-dicembre 1970 ‑ n.d.t. ‑).

30. E non «primo formato», come è stato detto talvolta a torto, esprimendo un controsenso manifesto nella traduzione del temine greco Protoplastes.

31. Si veda l’articolo Il Demiurgo, in La Gnose, anno 1º, n° 2, pp.25-27 (Pubblicato in italiano dalla Rivista di Studi Tradizionali, Torino, n° 33, luglio-dicembre 1970 ‑ n.d.t. ‑).

32. Infatti, simbolicamente, le quattro lettere che formano in arabo il nome di Allâh equivalgono rispettivamente al regolo, alla squadra, al compasso ed al cerchio; e quest’ultimo, nella Massoneria a simbolismo esclusivamente rettilineo, viene rimpiazzato dal triangolo (Si veda L’Universalité en l’Islam, in La Gnose, anno 2º, nº 4, p. 126) (L’articolo, di Abdul Hâdi, è stato pubblicato in italiano dalla Rivista di Studi Tradizionali, Torino, nº 16, luglio-settembre 1965 ‑ n.d.t. ‑).

33. È appena il caso di dire che, in effetti, ogni individuo finirà col farsi dell’Umanità integrale una concezione che sarà più o meno limitata, secondo la capacità di comprensione attuale della sua percezione intellettuale (che potremmo anche chiamare il suo «orizzonte intellettuale»); ma noi dobbiamo prendere in considerazione la formula solo nel suo senso vero e completo, sfrondandola da tutte le contingenze relative alle concezioni individuali.

34. Dobbiamo far notare che il primo precetto del Codice Massonico è esattamente formulato nel modo seguente: «Onora il G\A\D\U\», e non «Adora il G\A\D\U\»; e ciò al fine di evitare financo la minima parvenza di idolatria. In effetti, però, si tratterebbe proprio di una semplice apparenza, poiché, come provano peraltro le considerazioni da noi esposte fin qui, la formula implicante l’adorazione sarebbe sufficientemente giustificata dalla dottrina dell’«Identità Suprema», la quale, considerata in questo senso, può esprimersi con una equazione numerica (letterale) ben nota nella Kabbala musulmana. Secondo lo stesso Corano, Allâh «ordinò agli angeli di adorare Adamo, ed essi l’adorarono; l’orgoglioso Iblîs si rifiutò di obbedire, e (per questo) venne annoverato fra gli infedeli» [C. II, v.32 (Sûra XV, âyât 28-35)]. ‑ Un’altra questione, connessa alla precedente, e che dal punto di vista rituale e storico può essere interessante, al fine di determinare il significato ed il valore originario del simbolo del G\A\, consiste nel cercare di sapere se è più esatto dire «Alla Gloria Del G\A\D\U\», secondo l’uso prevalso nella Massoneria francese, oppure «In Nome Del G\A\D\U\», secondo la formula inglese (I\T\N\O\T\G\A\O\T\U\).

 

da Studi sulla massoneria e il compagnonaggio