TRADIZIONE INIZIATICA

Studi iniziatici


 

 

Jean  Dueguard

 

 

MASSONERIA LAICISTA O TRADIZIONALE ?

 

 

 

 

 

Come possono agevolmente constatare coloro che, direttamente o indirettamente, ne abbiano una qualche  cognizione, l'ambiente libero muratorio non è qualcosa di uniforme ed omogeneo: all'interno di ciascuna Obbedienza infatti coesistono e si giustappongono approcci diseguali e, conseguentemente, letture ed interpretazioni diverse, della esperienza massonica e del cammino iniziatico. Gli stessi termini "iniziazione", "esoterismo", G.A.D.U. etc sono utilizzati sovente secondo accezioni discordanti, queste ultime promananti da "scuole di pensiero" molteplici, sottintendenti a loro volta retroterra concettuali e "weltanschauungen" talora anche del tutto disparati, incompatibili e latentemente contrastanti tra di loro.

 

Ma, in pratica, una volta ammesso nel Tempio, ed integrato quindi nella comunità della Organizzazione massonica che lo ha accolto, il Neofita, dotato di uno spassionato punto di vista critico, rapidamente si accorgerà che la apparente molteplicità delle “vedute” del “fenomeno” Massoneria, almeno nei cosiddetti paesi latini, si riduce, alla resa dei conti, a due “correnti” principali: quella laicista, detta anche “umanista” e quella spirituale o tradizionale. Nelle riflessioni che seguono mi prefiggo di dimostrare come tali concezioni siano tra di loro veramente antitetiche ed incompatibili e come la forzata e stridente convivenza delle medesime nella forma mentale di molti Massoni, incapaci di coglierne la radicale contrapposizione, costituisca la garanzia più sicura dell’esiziale ottundimento di qualsivoglia aspirazione spirituale. In queste note non mi occuperò, invece, del filone cosiddetto “occultista” o “magico”, sia per la esiguità e marginalità che lo caratterizzano, sia soprattutto per il fatto che la sua eterogeneità di fondo, rispetto alla Via massonica, è cosa a tutt’oggi ampiamente constatata e riconosciuta. Ho rivolto l’attenzione agli ambienti delle cosiddette Massonerie “latine”, non perché la problematica evidenziata sia del tutto assente in ambito “anglo sassone”, bensì perché in quella sfera si intrecciano e si sovrappongono anche altri fattori, di derivazione prevalentemente religiosa, che avrebbero richiesto una ulteriore, eccessiva sequela di messe a punto preliminari.

 

Cercando di definire meglio queste che potremmo provvisoriamente denominare “interpretazioni fondanti e assiomatiche”, potremmo dire allora, in via preliminare, che la prospettiva spirituale, applicata alla esperienza libero muratoria, è quella che intende ammettere, nel corso dei Lavori rituali, l’intervento, secondo modalità invisibili e ineffabili, di una forza sopra umana, che possiamo convenzionalmente designare come “divina” o spirituale. Secondo tale prospettiva, quindi, si ravvisa e si ammette l’intervento effettivo e reale, (e quindi non “ideale” o di mera fantasia), di qualcosa di sopra umano, capace però di manifestarsi nel mondo umano attraverso l’azione efficace dei riti tradizionali, i quali d’altronde proprio a ciò sono deputati. In pratica si riconoscerà, nel corso dei Lavori rituali, la Presenza reale di una forza spirituale, la cui attualità quindi esulerà  completamente da una prospettiva psicologica, convenzionale, retorica, letteraria etc., promanando appunto da quel superiore ordine di realtà cui solamente spetta la designazione di spirituale. Conviene precisare, a scanso di equivoci, che per riti libero muratori intendo esclusivamente la apertura e chiusura dei Lavori nei tre gradi simbolici, nonché i riti di conferimento dei predetti tre gradi, oltre al rito della “Catena di Unione”. Non definirei invece riti libero muratori quell’insieme di cerimonialismi più o meno avventizi, (i cosiddetti riti funebri, matrimoniali, fino al recentissimo, estemporaneo cerimoniale della cosiddetta “festa della luce” etc), elaborati nei paesi latini a partire dal sec. XIX, soprattutto per supplire, attraverso succedanei improvvisati, (aventi implicazioni solamente sentimentali), alla impossibilità, dovuta alla “Scomunica” religiosa, di accostarsi validamente ai Sacramenti impartiti dalla Chiesa cristiana latina. Emblematico (e tipico di una incomprensione insuperabile circa la natura dei riti tradizionali), fu il fatto che, dinnanzi alla interdizione di cui sopra, non si cercasse allora, eventualmente, di rimediarvi rivolgendosi, se del caso, ad altri ambiti tradizionali capaci di fornire una pratica religiosa valida, regolare e soprattutto compatibile con la appartenenza alle organizzazioni libero muratorie, bensì si procedesse sic et simpliciter col fabbricare ibridi (e inani)  simulacri dei riti religiosi.

 

Tornando alla ritualità libero muratoria, parleremo quindi di un qualcosa di non solamente umano, al di là quindi della componente corporea e  psichica propria della collettività umana che compie e partecipa ai Lavori:   stiamo parlando infatti di una forza o influenza, che si configura nei termini di una  Presenza spirituale, a cui la collettività dei Liberi Muratori, ritualmente riunita, assicura solamente un supporto, cioè una modalità di manifestazione ed intervento nel mondo umano. Quindi, dal punto di vista dell’intervento di un elemento non umano, cioè di un fattore trascendente e perciò spirituale, i riti libero muratori si apparenterebbero, in certo modo, (e da questo particolare punto di vista), agli stessi riti religiosi. Tuttavia, giacché la Libera Muratoria non è una religione, occorre concepire l’esistenza di riti sacri e tradizionali, come per l’appunto sono quelli libero muratori, ma ben distinti pertanto da quelli religiosi. Parleremo allora di riti iniziatici libero muratori ( includenti momenti, gesti, luoghi ritualmente sacralizzati ), miranti peraltro, sia ben chiaro, a finalità del tutto distinte da quelle proprie dei riti religiosi.

 

Schematicamente si potrà  dire allora che una forza spirituale potrà agire secondo una certa direzione di efficacia, per esempio mirando ad assicurare una sorte postuma favorevole, (“sempre che ne esistano i presupposti essenzialmente interiori per ciascuno”), e allora si tratterà della salvezza individuale nel post mortem, all’ottenimento della quale sono finalizzate le religioni, oppure una tradizione sacra potrà altresì mirare al superamento dei limiti della forma individuale, in una prospettiva di reintegrazione attiva nel principio spirituale, (cioè di realizzazione attraverso la conoscenza), e allora ci si troverà nell’ambito di una forma iniziatica. Si noterà di passata che, sulla base di tale succinto schema, religione e iniziazione sono vie ben distinte, ma certo non concorrenziali tra di loro, concernendo ambiti e finalità del tutto diversi e non passibili, perlomeno in linea di principio, di conflitto alcuno. Ma non possiamo in questa sede pensare di affrontare la complessa questione dei rapporti tra esoterismo (via iniziatica) e religione (via di salvezza).

 

Per quanto concerne invece la prospettiva laicista, la vorrei definire in termini il meno possibile limitativi, per non rischiare di restringerne indebitamente la portata: essa sarà allora quella concezione che semplicemente non riconosce ai riti libero muratori una componente intrinseca di origine non umana, cioè spirituale, e tende quindi a risolverli in una esperienza soltanto umana, nella quale intervengono mere componenti, e conseguentemente forze, di tipo soltanto corporeo e psichico umano, cioè fattori esclusivamente mentali, sentimentali, emotivi, etc. escludendo comunque, dal corso dei Lavori, l’intervento effettivo, e perciò reale, di qualcosa di non umano, cioè di spirituale. Fatta salva questa preliminare riserva, la prospettiva laicista potrà ravvisare la esperienza libero muratoria come finalizzata ad un ventaglio estremamente ampio e diversificato di scopi: umanitario filantropici, di sviluppo della vita e delle relazioni interpersonali, di fruttiferi scambi di opinioni nell’ambito di stimolanti confronti, di elaborazione di progetti sociali di sviluppo in campi molteplici, della elaborazione e messa a punto di importanti prospettive etiche, di arricchimento del proprio bagaglio culturale, di sollecitazione del proprio punto di vista critico, di beneficenza, di difesa della libertà, della fratellanza, della uguaglianza, laicamente intese, secondo il principio della tolleranza per la indefinita varietà delle opinioni  etc.

 

Secondo la predetta prospettiva laicista, la qualifica di libero muratore che l’iniziato conserva per sempre, anche qualora dovesse “mettersi in sonno”, si configura sì come un possesso per sempre, ma soltanto in considerazione del fatto che l’esperienza  del conferimento cerimoniale dei gradi, una volta vissuta, non potrà mai più ovviamente cancellarsi, allo stesso modo in cui una qualsiasi altra esperienza, una volta vissuta, diviene anche essa di fatto incancellabile per il solo fatto che una volta esperita non potrebbe ovviamente più essere qualcosa di cui non si ha avuta esperienza, anche se a qualcuno dovesse poi accadere, in pratica, di dimenticarla e accantonarla interamente. Quindi il Libero Muratore si distinguerebbe dal profano solo per una particolare esperienza in più che ha fatto, quella cioè dell’accoglimento in una collettività di Liberi Muratori, ed eventualmente per una speciale mentalità che da tale esperienza, sviluppatasi nel tempo, può essergli derivata.

 

La prospettiva spirituale o meglio tradizionale, ravvisa invece nel rito della trasmissione iniziatica il conferimento di un “carattere indelebile”, cioè la attribuzione all’iniziato di una qualità spirituale che, comunque vada, non lo abbandonerà mai più, anche al di là della vita e della morte umana. Per trovare nel mondo occidentale qualcosa di affine, occorre riferirsi,  per similitudine, a quei riti di tipo religioso che si reputano  conferire per l’appunto, un “carattere indelebile”, riti quali il Battesimo, la Cresima e, soprattutto, la Ordinazione sacerdotale. Tuttavia si tratta di una somiglianza su cui non si dovrebbe troppo insistere, per non rischiare di assimilare i riti iniziatici, propri della libera muratoria, ai riti di una religione, assimilazione del tutto indebita, e anche abbastanza fuorviante, come rimarcato più sopra.

 

 In pratica ci si potrebbe rappresentare tale conferimento come il depositarsi, (attraverso la trasmissione iniziatica ritualmente compiuta), nella psiche individuale del neofita, di un “germe spirituale” che dovrà poi essere sviluppato nel corso del cammino iniziatico, col progredire della ricerca spirituale. Oppure si potrebbe anche scorgere la influenza spirituale, trasmessa col rito di iniziazione, come capace di rivivificare la “scintilla divina” presente in ogni uomo (cfr Evangelium Johannes, Prologo), la quale trovasi come in stato di sopore e latenza nel profano. Ma al di là delle immagini atte ad esprimere un fatto spirituale e perciò stesso inadatto ad essere descritto con parole umane, proprio perché propriamente ineffabile, resta inteso che questo particolare accadimento, secondo la predetta prospettiva spirituale tradizionale, è scorto come un fatto del tutto reale e la cui attualità non è quindi solamente di tipo psicologico, retorico, emotivo, sentimentale, “culturale”  o “ideale”. Un fatto “oggettivo” diciamo così , determinatosi attraverso una precisa sequenza e una procedura rituale che, senza insistere troppo con un certo tipo di raffronti, si potrebbe concepire come la messa in azione efficace, attraverso i riti tradizionali, di una particolare “tecnica” spirituale, con tutto il rigore e la precisione che un simile vocabolo trascina con sé. E’ superfluo aggiungere che il concetto stesso di “tecnica spirituale” o teurgia, (per avvalersi della espressione degli Antichi), con tutte le sue importanti implicazioni, è completamente avulso dai paradigmi materialistico-sentimentali, tecnicistico-scientisti e evoluzionistico-progressisti nei quali si risolve di fatto la mentalità moderna.

 

Infatti,  il materialismo, non tanto quello filosofico quanto il c.d. materialismo di fatto, non accetta di attribuire realtà se non a quanto è percepito dai sensi corporei e, al di là del dominio sensibile, ravvisa solo l’ambito, peraltro contiguo, del sentimento; a sua volta la prospettiva  tecnicistico-scientista reputa conoscibile solamente quanto è osservabile e riscontrabile tramite gli strumenti moderni di osservazione scientifica e di fatto avverte come reale (e quindi vera) solo quella conoscenza traducibile in applicazioni pratiche di tipo tecnico; quanto alla visione evoluzionistico progressista, essa ritiene, in tutti i campi del sapere, gli antichi che ci hanno preceduto, come necessariamente meno provvisti di conoscenza in paragone a noi moderni che, a nostra volta, saremo giocoforza surclassati dai nostri discendenti. Non intendo occuparmi qui delle numerose aporie, contraddizioni, punti ciechi etc, di tali concezioni, e neppure approfondire il fatto che il materialismo testè menzionato corrisponda più agli scenari del positivismo ottocentesco, piuttosto che agli orientamenti attuali della epistemologia e del pensiero scientifico. Neppure svilupperò alcune concezioni secondo le quali il materialismo, nonostante la sua apparente incontrovertibile solidità, debba corrispondere ad una certa visione del mondo, una tra le altre, accanto a quella mitologica tradizionale, per esempio e non possa più ingenuamente aspirare ad essere considerato la rappresentazione oggettiva e per ciò stesso unica e vera, della realtà. Resta comunque il fatto che tale particolare mentalità stabilisce i termini ineliminabili all’interno dei quali noi, in quanto uomini moderni, muoviamo il nostro pensiero, indirizziamo le nostre azioni, proiettiamo le nostre aspirazioni… Si tratta però di un orizzonte mentale del tutto incompatibile, secondo me, con quei paradigmi concettuali che soli possono rendere  ragionevolmente comprensibile l’esperienza libero muratoria. Anche in questo caso non possiamo pensare di entrare nel merito della complessa questione dei rapporti tra il mondo sacro tradizionale, cui appartiene di fatto una forma iniziatica quale la Libera Muratoria, e la fase di oscuramento spirituale sopravvenuta col mondo moderno e la particolare mentalità ad essa afferente.

 

Riallacciandoci quindi alle considerazioni sviluppate in precedenza, ne consegue inoltre che la effettuazione valida dei riti libero muratori sia possibile soltanto a coloro che attraverso la trasmissione iniziatica sono divenuti Libero Muratori, di  modo che dei profani, i quali, giunti “di straforo” in possesso dei rituali massonici, intendessero a loro volta in qualche modo praticarli, non allestirebbero altro che una messinscena grottesca, inutile e vuota, allo stesso modo in cui non potrebbe celebrare veramente, cioè validamente, il rito eucaristico (la Messa), chi non fosse sacerdote validamente ordinato. Dicendo “validamente ordinato” intendo “fatto sacerdote”, col compimento di un rito tramite il quale si propizia la “discesa” o meglio la manifestazione di un Principio spirituale nel mondo umano, consentendo in tal modo ad un essere umano di ricoprire effettivamente una data funzione tradizionale, (nell’esempio addotto, la funzione sacerdotale). Questa e non altra è la ragion d’essere profonda dei riti tradizionali. Si rammentino al proposito le parole della consacrazione rituale con la Spada fiammeggiante ed il Maglietto, (in grado di Apprendista). Il Maestro Venerabile non dice: “Ti attribuisco il titolo di Libero Muratore”, e neppure “Ti conferisco il grado di Apprendista”, bensì afferma: “Ti inizio, ti costituisco, ti creo Libero Muratore”, proprio per sottolineare la realtà efficace della procedura eseguita: una vera e propria “generazione spirituale”. A scanso di equivoci conviene precisare che il gesto dotato “ex opere operato” di efficacia “teurgica”, in questo caso non è la pronuncia della formula trascritta più sopra, la quale essendo oltretutto espressa in una lingua volgare non potrebbe avere per ciò stesso efficacia alcuna, (di modo che, nella ritualità massonica, la parola, eccezion fatta per le “Parole sacre” tratte dalla lingua ebraica, si limita, di fatto, in questo come in altri casi, ad avere un ruolo soprattutto illustrativo e didascalico), bensì sono i “three distinct knocks” battuti col Maglietto sulla Spada fiammeggiante sospesa sul capo dell’iniziando. Per inciso è opportuno rilevare che nei rituali insulari, privi come è noto della consacrazione rituale con la Spada fiammeggiante ed il Maglietto, il corrispondente gesto, dotato di efficacia teurgica, si ritrova al momento della “restaurazione della Luce”.

 

Appaiono evidenti allora tutte le importantissime implicazioni che codeste due prospettive, cioè quella laicista e quella spirituale o tradizionale trascinano con sé, sia circa il modo di vivere la predetta esperienza libero muratoria , sia per quanto riguarda la attitudine di ciascuno verso i riti praticati, sia per quanto concerne, infine, l’obiettivo stesso del cammino muratorio e tutte le complesse questioni quindi inerenti. Anche la delicata questione del rapporto tra riti iniziatici e riti religiosi, come già detto, andrebbe sviluppata e chiarita, se le circostanze lo permettessero. Accenno inoltre solo di passata al problema delle origini, giacché ammettere la presenza di qualcosa di non solamente umano nei riti della Massoneria, non consente, et pour cause, di presumere che la iniziazione libero muratoria sia soltanto il prodotto della elaborazione plurisecolare di uomini più o meno fantasiosi, bensì occorre allora ammettere ab origine l’intersezione di qualcosa di non umano, cioè di propriamente spirituale, intervenuto ai primordi, (“il giorno in cui nacquero i giorni”), e di poi, “from time immemorial”, tramandato nei secoli attraverso i riti tradizionali. Non tratterò allora in questa occasione nessuno dei problemi di cui sopra, trattandosi di questioni, come già detto, di rimarchevole complessità, ed il cui affrontamento, per essere di qualche utilità, richiederebbe un insieme davvero impegnativo di messe a punto preliminari. Dirò soltanto che ammettere l’intervento reale di una presenza spirituale, capace di vivificare, nel corso dei Lavori rituali, i gesti simbolici, cioè gli stessi riti, conferendo ad essi una spirituale, reale efficacia, trascina con sé alcune importanti conseguenze.

 

 La prima è che i riti libero muratori non sono solamente umani, nella loro essenza, non sono cioè solo il risultato di una elaborazione umana sviluppatasi nel corso delle epoche, ma hanno una origine soprannaturale ed è proprio tale origine che conferisce loro il carattere sacro; la seconda è che, per ciò stesso, i singoli Liberi Muratori non sono veramente i “proprietari” dei riti che praticano, bensì ne  sono in certo modo soltanto gli affidatari. Essi allora sono i meri custodi di un deposito tradizionale, che non appartiene loro interamente e di cui, quindi, non possono disporre secondo il loro arbitrio. In terzo luogo anche l’atteggiamento verso l’insieme dei riti e dei simboli non potrebbe essere quello di noncurante sufficienza, come magari si potrebbe tenere verso qualcosa dotata  sì di una pretesa “sacralità” ma di tipo meramente convenzionale, per la quale cioè l’attribuzione della qualità sacra si ridurrebbe in effetti a un affettato e insistito modo di dire, magari annullabile, ad un certo punto, con un semplice voto a maggioranza, bensì dovrebbe implicare una attitudine  affine, ( seppure in  certo modo distinta ), a quella disposizione interiore che in ambito religioso è nota quale “timore di Dio”. Per esempio la disposizione  interiore corretta, nei confronti degli Utensili simbolici, e più in generale dei simboli sacri della libera muratoria, non dovrebbe limitarsi al ravvisarli quali elementi di un complesso codice simbolico che il libero muratore è chiamato a decodificare, ma forse essi dovrebbero essere scorti, nel corso dei Lavori, quali aspetti di una epifania spirituale, o teofania, cioè di una manifestazione spirituale, in ordine alla quale occorrerebbe rapportarsi con un atteggiamento simile alla “pietas” che caratterizzava il rapporto degli Antichi col mondo sacro, cioè di deferenza, reverenza, profondo  rispetto. Vorrei dire anche “venerazione”, se non temessi di essere frainteso.

 

Tralascio per brevità di elencare autori e “scuole di pensiero” che, nel corso degli ultimi 300 anni hanno costituito le rappresentanze autorevoli e variegate di tali due schieramenti, anche se è presumibile che la immensa maggioranza dei Liberi Muratori, almeno nei paesi latini, (ma in fondo lo stesso Craft britannico, inteso quale “peculiar system of morality” è incompatibile, di fatto con la prospettiva tradizionale), si riconosca prevalentemente nella prospettiva laicista, la prospettiva cioè, per dirla in breve e con un bel chiasmo,  secondo cui non è Dio ad aver creato l’uomo, ma invece è l’uomo ad aver “creato” dio e,  secondo la quale, quindi, ogni pretesa rivelazione sovrannaturale si riduce, nei fatti, ad una semplice autorivelazione dell’uomo a se stesso, seppure ammantata di pretesi caratteri sovrannaturali, talvolta per ingenuità, talaltra per spudorata impostura…

 

E sono anche del tutto consapevole che per la sterminata maggioranza degli appartenenti alle organizzazioni dei Liberi Muratori, quanto testé descritto, secondo la cosiddetta prospettiva spirituale tradizionale, è visto come una patetica fisima da non prendere troppo sul serio… Tutt’al più come una delle tante letture del fenomeno Massoneria, per molti una delle più irritanti e stucchevoli, da accettare di malavoglia in nome di una disdegnosa, accondiscendente “tolleranza”. Sul piano dei numeri, la prospettiva laicista ha certo il sopravvento e se la verità di un qualche asserto potesse essere decisa a maggioranza, tale prospettiva laicista dovrebbe essere considerata quella vera in esclusivo. Dall’altra parte, la prospettiva spirituale, che alcuni, per fondate ragioni, denominano anche tradizionale, ha sì dalla propria parte la voce di alcuni sovreminenti studiosi, (in primis il francese René Guénon, alla cui opera in generale ed a quelle concernenti in senso stretto l’iniziazione in particolare, rimando coloro che intendessero approfondire tali tematiche), ma soprattutto pretende di suffragare i propri assunti sulla base dei contenuti dei rituali libero muratori che diversamente apparirebbero privi di una loro profonda ragion d’essere.

 

Infatti se i riferimenti a realtà sacre, presenti nei rituali, dovessero essere intesi come semplici espressioni retoriche e “cerimonialistiche”, mere façons de dire del tutto prive quindi di qualsivoglia interconnessione con un mondo spirituale e sopra umano, effettivamente concepito come vero e  reale, allora i predetti rituali si configurerebbero come un sottoprodotto letterario di dubbio gusto, nel quale una pretenziosa ridondanza si affiancherebbe ad una estrema povertà di significati, ad un che di abusivo, ad una sorta di impostura, nella quale uomini adulti, seri e di buona volontà, quali i Liberi  Muratori, insisterebbero affermando di lavorare in nome o alla gloria di una “entità”, il G.A.D.U., a cui peraltro nessuno di loro si sognerebbe poi di attribuire realtà alcuna, allo stesso modo in cui si decidesse, per esempio, di aprire i Lavori in nome o alla gloria di Babbo Natale o di Superman… Uomini adulti e seri che, tuttavia, nel corso della recita dei rituali, ribadiscono reiteratamente, per anni e anni, tornata dopo tornata, la sacralità di parole, gesti, etc, quando poi, invece, alla qualità di sacro ritengono, dal canto loro, non possa intrinsecamente, cioè realmente, e vorremmo dire oggettivamente, corrispondere nulla di reale, dal momento che, come si è visto, secondo tale particolare mentalità, la affermazione, pur ritualmente insistita, di  tale pretesa qualità si riduce poi, di fatto, ad una espressione meramente convenzionale, alla quale tutti sembrano dover assentire pro forma, ma che ciascuno avverte in cuor suo essere del tutto inconsistente e da non prendere quindi troppo sul serio. Questa che precede non intende ovviamente essere la descrizione di uno stato di fatto, ma solamente la esternazione di un accorato timore.

 

E tuttavia, quasi a controbilanciare un tableau alla apparenza sconfortante, è anche necessario rilevare che le stesse concezioni laiciste sembrano ormai da tempo attraversare una irreversibile fase di declino sia dal punto di vista pratico, per la scarsa o nulla influenza che la massoneria laicista esercita  nei settori politico, sociale e culturale, sia anche nei loro presupposti teorici, a motivo del fatto che tali concezioni appaiono del tutto inaffidabili, e perciò screditate, a partire almeno dall'epoca della incontrastabile crisi di quel positivismo filosofico che per lungo tempo ne aveva costituito il fondamentale caposaldo, crisi cui abbiamo già accennato di passata. Si potrebbe anzi affermare che gli stessi laicisti, seppur sovente insofferenti nei riguardi degli aspetti rituali delle tornate periodiche, pur tuttavia non osino ancora sopprimere e cancellare del tutto la componente rituale ed iniziatica della Organizzazione cui appartengono, quasi si rendessero conto, ovviamente  senza mai ammetterlo, che proprio in tale componente si situi l'unica vera ragione di sopravvivenza delle Organizzazioni massoniche, e che è solo grazie al sussistere di tale retaggio iniziatico che le varie concezioni laiciste, ormai esse stesse anacronistiche, possono trovare gli spazi per una sopravvivenza, la quale, sulla base delle considerazioni sin qui sviluppate, si potrebbe anche avvertire come una sorta di “parassitaria” voie substitué, sviluppatasi tra il XVIII ed il XIX secolo fra le Obbedienze latine nel tentativo di colmare, attraverso contenuti avventizi, desunti dalla cultura profana del tempo, quel vuoto di significato che il progressivo oblio del “vero fine della Massoneria” aveva ingenerato.  Quindi la concezione tradizionale, quand’anche numericamente minoritaria, potrebbe essere di fatto, alla resa dei conti, per la solidità dei capisaldi intellettuali sui quali è fondata, molto più forte e vitale di quella laica.

 

Come si vede le due prospettive sono tra di loro ben distinte e demarcate. Allorché nel corso del sec. XIX si prese recisa coscienza di ciò, in ambito francese, si ritenne doveroso e coerente, nel prevalere della prospettiva laicista, abolire, correva l’anno 1877, ogni riferimento che nei rituali pareva rimandare stucchevolmente ad un mondo sacro, cioè sopra umano, cui si intendeva negare qualsivoglia realtà.  Scomparvero dunque le invocazioni al G.A.D.U, nonché, dall’Altare, il V.d.L.S., sostituito quest’ultimo, se non rammento male, col Libro delle Costituzioni e dei Regolamenti dell’Ordine, o con altro apposito succedaneo. E di concerto si procedette con una sequela di altri elementi rituali che si ritenne necessario espungere con decisione. Come è noto questi provvedimenti implicarono, da lì a poco, il disconoscimento della  organizzazione libero muratoria interessata,  da parte della G.L.U.d.I.

 

Ed eccoci ai giorni nostri, alle prese con rituali che contengono reiterate, esplicite, diremmo quasi insistite,  menzioni di realtà sopra umane, per esempio di un G.A.D.U. e di aspetti molteplici, quali Libri, Parole, Gesti, cui si continua ad attribuire, almeno verbalmente, l’epiteto di sacro. Questo aggettivo, come abbiamo detto, secondo la prospettiva spirituale tradizionale, implica il riconoscimento dell’intervento di un elemento, e quindi di un fattore agente, non umano, cioè spirituale, mentre secondo l’ottica laicista sta solamente a designare qualcosa cui si è  convenuto attribuire un particolare valore e sottolineare quindi un certo nobile significato, un significato, quindi, meritevole di attenzione, considerazione, omaggio, ma che non trascina con sé  alcuna efficacia atta a stabilire un invisibile, ma tuttavia effettivo, ricollegamento con una realtà più che umana, la cui esistenza, se non esplicitamente negata, è però altrettanto recisamente non riconosciuta, a seguito di un insuperabile agnosticismo. Queste riflessioni sono finalizzate a suscitare una presa di coscienza della problematica ineludibile soggiacente a queste due prospettive, le quali in seno alle organizzazioni libero muratorie, come già detto, sussistono e convivono di fatto, (seppure esse dovrebbero apparire a questo punto, in tutta evidenza, come totalmente incompatibili l’una con l’altra), e a fare sì che ciascuno  possa interrogarsi per stabilire se la problematica in questione in certo modo lo coinvolga e, in tal caso, in quali termini ciascuno possa impostare tale decisiva questione e verso quale prospettiva lo inclini la sua propria sensibilità.